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Come riconoscere le intolleranze alimentari

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Se vuoi realmente fare qualcosa troverai il modo… Se non vuoi veramente troverai una scusa
JimRohn

L’intolleranza alimentare è l’incapacità totale o parziale di digerire e metabolizzare un alimento. Questo termine è spesso associato al termine allergia, erroneamente usato come sinonimo.

La presunta intolleranza nei confronti di un cibo è spesso ritenuta responsabile dei più disparati disturbi, dal gonfiore intestinale alla difficoltà di perdere peso. Circa il 25% della popolazione sostiene, infatti, di soffrire di intolleranza o allergia alimentare, sebbene i numeri della scienza stimino una prevalenza reale del 3-5%.

Ma che differenza c’è tra allergia e intolleranza alimentare? Termini spesso utilizzati indifferentemente. E come si riconoscono?

L’allergia è la produzione di anticorpi (IgE) verso un determinato allergene, così come si producono anticorpi per esempio verso i pollini di graminacee; l’intolleranza è l’incapacità totale o parziale di digerire e metabolizzare un alimento. L’allergia alimentare si manifesta in genere con la cosiddetta sindrome orale allergica, caratterizzata da prurito, gonfiore alle mucose orali e alla lingua. Possono poi presentarsi anche orticaria e gonfiore di labbra e palpebre oppure ci possono essere anche disturbi di tipo gastro-intestinale come dissenteria, nausea o crampi addominali. L’intolleranza, a differenza dell’allergia, costituisce una reazione avversa ad un alimento che non coinvolge il sistema immunitario e la sua manifestazione spesso è sfumata, con sintomi comuni ad altri disturbi: dissenteria, nausea, crampi addominali, perdita di peso, mancanza di appetito.

L’intolleranza al lattosio è la più diffusa tra le intolleranze da difetti enzimatici. Il lattosio è uno zucchero presente nel latte che viene digerito grazie ad un enzima chiamato lattasi.

Esistono anche numerose intolleranze nei confronti di alcuni non-nutrienti presenti in alcuni cibi che in alcuni individui suscettibili possono provocare la comparsa di sintomi che vanno dall’orticaria ai dolori addominali, dalla diarrea al mal di testa. Tra le sostanze responsabili:

  • Istamina, presente in vino, spinaci, pomodori, pesce mal conservato, acciughe e formaggi stagionati;
  • Tiramina, formaggi stagionati, birra, vino, lievito di birra, pesce affumicato, spinaci, banane;
  • Caffeina, caffè e numerose bevande dolci gassate;
  • Solanina, patate, melanzane, pomodori;
  • Teobromina, tè e cioccolato;
  • Solfiti, utilizzati come antiossidanti e conservanti in vini, zuppe, succhi e bevande;

L’intolleranza oggi più nota è l’intolleranza al glutine, una proteina presente nei cereali, che determina la celiachia, una patologia che può essere anche estremamente severa.

Per capire se si soffre di un’intolleranza alimentare è fondamentale consultare il medico e sottoporsi a visita allergologica o gastroenterologica. Grazie alla visita e ai sintomi riportati si potrà fare una prima distinzione tra eventuale allergia o intolleranza. Per diagnosticare una allergia ci sono i Prick test (test cutanei) e il Rast test per il controllo della reazione allergica a diversi tipi di sostanze anche se non danno la certezza completa delle cause scatenanti l’allergia. Altro test molto usato è il Patch Test che serve soprattutto per individuare reazioni da contatto.

Per diagnosticare le intolleranze purtroppo non ci sono molti test validati scientificamente e ben pochi di questi esami, spesso molto costosi, hanno una qualche utilità. Un test utilizzato per la diagnosi di una patologia dovrebbe essere accurato — avere cioè una stretta corrispondenza con il valore reale che si intende misurare — e preciso — ovvero dare risultati riproducibili, costanti e non equivoci, sullo stesso campione.

Purtroppo molti dei test che vengono proposti per la diagnosi di intolleranze alimentari non soddisfano questi due basilari requisiti: nel migliore dei casi si tratta di test che presentano scarsa accuratezza, ridotta precisione e forte dipendenza dalle capacità dell’operatore. Nel peggiore, si tratta di vere e proprie prese in giro basate su concetti pseudoscientifici, privi di ogni validazione e utilità. I test alternativi, come il Vega test, che sfrutterebbe le variazioni di potenziale elettrico della pelle per individuare gli alimenti mal tollerati, il Dria test, che si fonda sul principio secondo cui ogni disfunzione dell’organismo sarebbe accompagnata dalla riduzione della forza di determinati gruppi muscolari, o ancora i test kinesiologici, il test citotossico o l’analisi del capello – sono tutti privi di un corredo di solide evidenze scientifiche.

Tra i test diagnostici validati vi sono l’H2-breath test al lattosio, di competenza del gastroenterologo, che identifica un’intolleranza allo zucchero del latte, e lo screening sierologico per la celiachia, che consente di individuare una serie di anticorpi – anticorpi antiendomisio (EmA) e antitransglutaminasi tissutale (anti-tTG) – altamente predittivi di malattia celiaca, che in ogni caso deve essere confermata da una biopsia intestinale.Oggi per individuare un’intolleranza al lattosio determinata certamente dalla carenza dell’enzima lattasi è a disposizione anche un test genetico.

Quindi, sottoporsi senza criterio a test non convenzionali per l’individuazione di intolleranze alimentari non solo può rivelarsi controproducente, ma addirittura rischioso nel caso in cui, eliminando fondamentali componenti dalla dieta senza gli opportuni accorgimenti per compensare ciò che viene a mancare, l’alimentazione risulti impoverita e sbilanciata, con possibili ripercussioni negative sullo stato globale di salute.

Dott.ssa Maria De Marinis