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Indice o carico glicemico? Facciamo chiarezza

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indice o carico

”Amor che nella mente mi ragiona” cominciò egli a dir si dolcemente che la dolcezza ancor dentro mi suona.
Dante Alighieri

Le espressioni “indice glicemico” e “carico glicemico” sono utilizzate per descrivere concetti legati al metabolismo degli zuccheri ma rischiano di creare confusione se non se ne comprende il corretto significato.

I carboidrati rappresentano una componente essenziale della dieta quotidiana e forniscono all’organismo l’energia “pronta per l’uso” di cui ha bisogno per funzionare al meglio. Non tutti i carboidrati, però, sono uguali: cambia per esempio la loro capacità di modificare la concentrazione di glucosio nel sangue dopo il pasto e la velocità con cui vengono assorbiti, proprietà che hanno effetti importanti sulla salute.

L’indice glicemico, IG abbreviato, è quel valore che rappresenta la velocità con cui un alimento alza la glicemia, ossia i livelli di zucchero nel sangue.

Praticamente questo indice ci aiuta a misurare la velocità di digestione ed assorbimento dei cibi contenenti carboidrati e il loro conseguente effetto sulla glicemia e ci permette di capire, di conseguenza, quanta insulina il nostro corpo è portato a produrre.

Viene usato come valore di riferimento il glucosio o il pane bianco, il cui indice glicemico infatti è pari a 100 e si esprime in percentuale, quindi corrisponde al 100%. Il glucosio è uno zucchero semplice e in quanto tale viene assimilato molto velocemente per poi essere messo in circolo nel sangue con lo scopo di andare a “nutrire” le cellule.

 

Da cosa è influenzato l’IG?

Ci sono diversi fattori che determinano indici glicemici più o meno alti:

a) La manipolazione del cibo tende ad alzare i valori di IG dell’alimento in questione;

b) Il tipo di carboidrato: più un carboidrato è semplice e raffinato, più l’IG sarà elevato;

c) La cottura, ad esempio il pane abbrustolito ha un IG inferiore al pane fresco;

d) La presenza di fibre, le quali abbassano l’indice glicemico;

e) Il grado di maturazione: un frutto acerbo ha un indice glicemico inferiore da un frutto molto maturo;

f) L’interazione dei carboidrati con gli altri macronutrienti contenuti nel cibo preso in considerazione. Infatti la presenza di proteine, ma soprattutto di grassi tende a rallentare la velocità di assorbimento degli zuccheri a livello intestinale, quindi ad abbassarne l’IG.

 

Sulla base dell’IG gli alimenti vengono classificati in:

– Cibi ad ALTO INDICE GLICEMICO (115-55)

– Alimenti a MEDIO INDICE GLICEMICO (55-35)

– Alimenti a BASSO INDICE GLICEMICO (35-0)

 

Consumare spesso molti cibi ad alto indice glicemico potrebbe creare una condizione pericolosa detta di “insilino-resistenza”, cioè il nostro corpo diventa sordo alle richieste di insulina che, col tempo, risulta sempre più insufficiente a gestire i livelli di zucchero nel sangue, sfociando poi in una condizione diabetica.

 

Carico glicemico: conta anche la quantità

Dopo un pasto che contiene carboidrati il livello di glucosio nel sangue sale e il livello di questo incremento dipende non solo dalla qualità dello zucchero consumato (IG), ma anche dalla quantità. Si parla allora di “carico glicemico” una misura che tiene conto sia della qualità che della quantità dei carboidrati in un pasto.

ll carico glicemico serve a capire quanto alzerà la glicemia “una porzione” del cibo preso in considerazione. Quest’informazione può rivelarsi preziosa poiché non è detto che un alimento con un alto indice glicemico abbia per forza un effetto molto negativo sulla nostra glicemia.

Come per l’IG anche per il carico glicemico esistono le categorie “basso”, “medio” e “alto” nelle quali sono classificati i diversi alimenti e che corrispondono a valori di carico glicemico: <10 (basso), tra 11 e 19 (medio) e > 20 (alto).

Il carico glicemico di un alimento si ottiene moltiplicando il suo indice glicemico per la quantità di carboidrati contenuti in quell’alimento e dividendo il risultato per 100.

 

Per comprendere meglio, facciamo un esempio: la zucca e gli spaghetti hanno entrambi un indice glicemico molto alto, ma per alzare la glicemia in modo analogo è necessario consumare una quantità molto superiore di zucca rispetto a quella di spaghetti. Questo perché la percentuale di carboidrati presente nella zucca è particolarmente ridotta se paragonata a quella che troviamo nella pasta.

Al contrario, un alimento con IG alto può avere un carico glicemico inferiore di un altro alimento con IG più basso.

Per fare un esempio pratico, confrontiamo 500 grammi di uva con 50 grammi di biscotti secchi.

L’uva ha un indice glicemico di circa 48; poiché 500 grammi di uva contengono circa 75 grammi di carboidrati, il carico glicemico è 75×48/100= 3,60.

I biscotti hanno un indice glicemico di circa 65; poiché 50 grammi di biscotti contengono circa 35 grammi di carboidrati, il carico glicemico è 35×65/100= 2,28 ossia inferiore a quello dell’uva.

 

L’utilità di questi valori

Questi due parametri risultano importanti per poter monitorare l’apporto di carboidrati e i livelli di zucchero nel sangue. In particolar modo potrebbero rivelarsi utili per specifiche malattie, come ad esempio il diabete di tipo 2, dove bisogna fare sempre i conti con cosa si mangia e quanto zucchero si assorbe.

Un diabetico infatti dovrebbe prediligere alimenti con un basso IG, in modo da evitare eccessivi picchi glicemici e innalzamenti della concentrazione di glucosio nel sangue. Questo però non basta, è indispensabile anche contenere il carico glicemico complessivo del pasto.

Infatti, quello che interessa sono i valori di un pasto, non del singolo alimento.

Lo stimolo che questo dà alla produzione di insulina è dato dal combinarsi con gli altri cibi che lo accompagnano. C’è differenza se un piatto di pasta è condito con il burro o con un pugno di fagioli».

Di conseguenza basarsi solo ed esclusivamente sull’indice glicemico potrebbe essere fuorviante!

Per questo motivo è molto importante considerare il carico glicemico come parametro che tenga conto del contenuto di carboidrati presenti nell’alimento che si sta osservando.

 

Dott.ssa Maria De Marinis